Racconti

Personalità Multiple

-“Spesso l’immaginifico si trasforma in salvifico, in quanto è più semplice idealizzare una vita perfetta, anziché viverla.”

-“Perdonami, ma, a mio parere, è un’idiozia! Se fosse così, ogni uomo vivrebbe la propria favola lontano dalla realtà quotidiana. Ciò lo porterebbe a vivere, come dire, fra le nuvole. Sbaglierebbe a lavoro. Tradirebbe la moglie per donne immaginarie. Si perderebbe gli anni più belli dei suoi figli. Non si dedicherebbe agli hobby, quali magari la caccia o, perché no, il football, prediligendo sport congiunti solo nell’irrealtà del pensiero. Sarebbe infelice. Terribilmente infelice.”

-“Mi consenta, senatore, di ribattere nuovamente.”

-“Sei un avvocato. Non mi aspetto null’altro da te. Prego, prego, fai pure. Ah, ti prego, rivolgiti a me dandomi del tu. Nonostante tu continui a chiamarmi senatore, io sono a te ben noto, non meno di quanto tu lo sia per me, Louis.”

-“Oh, senatore, non mi permetterei mai, la prego. Per tornare al discorso, lei ha preso come esempio un uomo di classe sociale medio/alta, con una moglie, dei figli, degli hobby ed un lavoro ed io, cominciando il mio discorso, non ho usato l’avverbio semper, bensì mi sono limitato a parlare di spesse volte. Distratto io, ovviamente, che non ho specificato che un uomo felice non ha bisogno di rintanarsi nella fantasia…”

-“Rilegarsi, io utilizzerei rilegarsi!”

-“Rilegarsi nell’immaginazione, in quanto potrebbe già definirsi appagato ella propria vita. Ma, chiediamoci, tutti gli uomini che sembrano felici, lo sono davvero?”

-“Ne dubito fortemente. Anzi, lo reputo quasi utopico.”

-“Esattamente. E cosa porta alla pazzia un uomo, se non certamente l’infelicità?”

-“Credo che la sua domanda, perfettamente formulata, me ne complimento, porti il suo discorso ad un livello superiore. Complimenti Avvocato Thompson, ha vinto nuovamente questa battaglia. Lei sì che è un uomo che non deve rilegare se stesso all’immaginifico per essere felice.”

-“Mi compiaccio del complimento, ma, si fidi, tutti hanno bisogno del proprio angolo felice, ove rifugiarsi in tempi bui. E, scommetto, caro Marcus, che anche tu lo abbia.”

Il senatore scrollò le spalle, si allacciò il pesante cappotto e rise di gusto. Anche oggi l’infallibile avvocato americano, trapiantato in Inghilterra, Louis Thompson aveva dato prova delle sue grandi doti dialettiche che lo portarono, fin troppo giovane, a godere della fama di miglior azzeccagarbugli di tutta Londra. Cresciuto in una famiglia di ceto medio/basso, per pagarsi gli studi al college nella città di Canterbury, fu costretto fin dal primo anno a prestare servizio come activity leader alla summer school del suo college. Neolaureato ma ben poco idealista, si gettò subito a capofitto nel lavoro, trasferendosi a Londra, ed in poco tempo divenne ricco e stimato. Nonostante avesse da poco compiuto trent’anni, il suo volto appariva scavato ma indelicato, carco ne la sua magrezza. Eccessivamente magro per la sua altezza imponente, sbarbato e di carnagione pallida, se visto al buio di notte, assomigliava più ad un cadavere che ad un uomo ancora dotato di calda linfa in corpo. Caratterista fondamentale, che ancora lo teneva ancorato al mondo reale, era l’eccessiva sudorazione, che imperlava la sua fronte ed il suo naso oltremodo. Un bianco fazzoletto di stoffa, onnipresente nelle sue mani, tentava di asciugare quel liquido salato, tentava, si noti bene, in quanto, anche le sue mani non facevano altro che grondare come un lavandino gocciolante. Cosa facesse fuori dal suo ufficio o se avesse dei parenti, nessuno lo sapeva. La sua dimora era la stanza di un hotel fra Tower Bridge e il London Eye, anche se aveva espresso più volte la volontà di trasferirsi vicino Convent Garden per poter ascoltare dell’ottima musica mangiando un buon piatto di pasta nel suo ristorante preferito. Alle volte era solito recarsi negli Stati Uniti, mai due volte nello stesso posto, mai nella sua città natale. Prediligeva più l’Italia, la Spagna e la Grecia, anche se il Brasile restava il luogo in cui maggiormente amava trascorrere le sue ferie “forzate”, dato che difficilmente egli amava lasciare la sua scrivania per girovagare o per rilassarsi. Soprattutto odiava i fannulloni, coloro che, nella vita, amavano vivere a spese altrui, girovagando senza una meta. Vittime della suo sarcasmo e del suo cinismo erano anche i cantanti, i poeti, gli adolescenti svogliati, i lettori assorti, i grassi e tutti coloro che non riuscivano a prediligere, come invece egli faceva, una vita di fatica mentale e di sacrificio. Per questo quella sera il senatore sembro così stupito del discorso fatto da Thompson su come la fantasia e l’irrealtà possano essere considerati, non solo socialmente accettabili, ma anche apprezzabili ed universali. Chissà se in quel universo però, si chiese il Senatore tornando a casa, anche Louis stesso si è incluso, o se le sue restano solo parole relegate ai mediocri, in cui, purtroppo anch’egli sentiva di essere incluso dal potente sguardo inquisitore dell’avvocato.

Passò l’inverno e fu presto primavera. Particolarmente piovosa ed umida, per motivi di lavoro, condensati ad una forte meteoropatia, Thompson dovette partire alla volta dell’America. Il volo passò in fretta fra carte da firmare e atti da rivedere. Qualche leggera turbolenza durante l’atterraggio ma nulla di cui preoccuparsi, poi l’arrivo all’aeroporto, lo scalo dall’aereo tramite un “finger”, la sistemazione maniacale del computer nella borsa di pelle, dei documenti in un taschino cucito a mano sul retro della stessa, il controllo passaporti ed il recupero delle valigie. Meccanicamente, quasi seguendo gli uomini dinanzi a sé, fu davanti all’uscita dell’aeroporto, dove salutò un vecchio di bianco pelo, gli consegnò la borsa di pelle con i documenti nel taschino, le valigie, la giacca, la cravatta, la spilla e il fazzoletto bianco di stoffa ancora piegato nella tasca, poi si allontanò, con la camicia sbottonata e l’aspetto trasandato. A vederlo da lontano sembrava basso, grasso e distratto. Rischiò di essere investito, in cinque minuti, almeno sette volte. Vagò per tanti giorni, senza meta, senza un luogo dove tornare. Comprò, con pochi spiccioli, un taccuino. Si immerse nella lettura. Andò ad un concerto tenuto da una piccola rock band in strada. Scrisse pagine che lasciò andare in un fiume. Camminò ancora. Poi fu di nuovo in aeroporto. La sua vacanza era finita. Lo stesso uomo che all’andata si era occupato dei suoi effetti personali, si ripresentò il giorno della partenza. Restituì ogni singolo oggetto, ed in più, poco prima di lasciare andare quello che più avanti si saprà essere suo figlio, gli lasciò una busta bianca con dentro, probabilmente, una lettera. Il silenzio con cui, ambedue le volte, gli scambi avvennero, fece raggelare il sangue a me, che non sono altro che il narratore impiccione della vita dell’avvocato Thompson, o meglio, del dietologo Allinger, del mago circense Chris, del vecchio di bianco pelo noto ai più come Thompson Senior e, per finire, del malato di mente Gregor Salinica, di origine polacca. Il volo, anche questa volta, fu piacevole, ed in breve tempo fu di nuovo a Londra. La routine dell’avvocato Thompson ricominciò monotona, fra lavoro e cene di affari. Fu piacevole incontrare il senatore nelle mie stanze, anche se egli mi sembrò lievemente confuso, continuava a ripetere che non è un senatore ma uno psichiatra, che io non sono il narratore della vita di nessuno e che non esiste nessun avvocato Thompson al di fuori della mia mente.

-“Lei mente. E sa, è consapevole, di farlo. Lei è un bugiardo. Dovrebbe essere messo in catene per questo.”

-“Va bene signor Salinica. Io sono un bugiardo. Ma parlava che anche un altro uomo, oltre lei, e le sue infinite personalità, si intende, conoscevano l’avvocato Thompson. Mi dica, chi era costui?”

-“Il mio vecchio psichiatra! Pensi che lo conosceva così bene che sapeva anche di che problema soffrisse…”

-“Mi faci indovinare: personalità multiple.”

-“Vede che è un bugiardo! Anche lei lo conosce. Tutti conoscono il potente avvocato Thompson, e, prima o poi, tutti conosceranno me, che passò la vita a narrare le sue peripezie! Sa, quell’uomo è proprio un folle. Menomale che io sono lucido e riesco a seguirlo ovunque, o almeno, se riesco a liberarmi da questa camicia di forza, riuscirò a seguirlo ancora!”

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